Il padre di una studentessa morta nell’incidente stradale che ha coinvolto in Spagna un gruppo di giovani in Erasmus, ieri, mi ha colpito.
Intervistato, ha dichiarato che non incolpa l’autista che guidava il bus uscito di strada per il suo colpo di sonno. Ha detto che non lo incolpa e che che occorre capire perché è successo quel che è successo e comprendere, al di sopra di lui, di chi è la responsabilità.
Che uomo.
Un uomo che in uno dei massimi momenti di stress emotivo, usa la ragione.
Che passa dall’io al noi.
Che guarda la situazione nel suo complesso e non cade prigioniero del suo stesso stato.
Che non ne viene travolto.
Come può riuscire a farlo?
Non è sicuramente una capacità che esplode da un momento all’altro, improvvisamente.
È una competenza, credo, che ha radici profonde, nel passato, che nasce come frutto dell’intera vita.
E’ una competenza che è stata educata.
Come?
E’ difficile sintetizzare il processo che porta alla maturità, che sviluppa la ragionevolezza, ma ci provo.
Uno: l’esercizio della riflessione. Delle cose che accadono occorre parlare, a sé stessi e con gli altri.
Cosa è successo? Perché? Cosa ne penso? Cosa provo? Cosa pensi tu?
Due: l’esercizio dell’empatia.
Cosa prova l’altro? Cosa vedo nell’altro? Cosa penso stia pensando? Al suo posto cosa farei?
Tre: l’esercizio del pensare in termini universali.
Sapere generalizzare, sapere guardare il mondo. Parto dalla mia esperienza, ma la allargo, la metto in relazione con l’universo. E scopro che nell’universo, la mia esperienza esiste anche per altri, che il mio dolore, la mia gioia, sono eventi che colgono l’essere umano in generale, non solo me.
Raccolgo i dati che arrivano da fuori, li ascolto, li osservo. Guardo l’insieme, mi vedo dall’alto.
Quattro: l’esercizio dell’ascolto, appunto.
Sto zitto, mi metto in attenzione. Mi interesso dell’altro e di ciò che è intorno a me. Lo registro, lo faccio mio. Mi importa cosa mi si sta dicendo, non solo cosa penso io.
Cinque: l’esercizio dell’esame di coscienza (antico esercizio).
Cosa ho fatto? Cosa posso fare? Cosa potevo fare? Cosa è successo dopo le cose che ho fatto? Che responsabilità ho?
Potrei continuare.
Si tratta di azioni che, ad un bambino, ad un ragazzo, devono essere proposte, non arrivano da sole. Sono azioni da condividere, da proporre, da mostrare con l’esempio.
Allora, crescere può significare affrontare una per una le tante cose difficili che si parano davanti e non scansarle.
Può significare mettersi alla prova e superarla, con forza fisica e mentale, da esercitare, appunto.
Il papà che ho ascoltato in tivù è passato inosservato rispetto alle tante reazioni eclatanti che che vengono mostrate, ma invito ad andare a riascoltarlo.
Rincuora, consola, fa sperare nella possibilità di evolvere e di non soccombere anche di fronte alle tragedie, ma, in generale, in mezzo alle mille facce di una umanità perduta. In fondo, credere nella forza dell’educazione dà la speranza non solo di resistere alle difficoltà, ma anche di scoprire o ritrovare la rotta nella mappa della vita.
In un viaggio che non si può programmare, ma al quale possiamo dare un significato scelto da noi.