Ci sono eventi che scatenano, negli individui di genere maschile, fenomeni di dipendenza, catalessi ed ipnosi appena prendono vita.
Sono gli eventi sportivi.
Lo sport trasforma un uomo parlante e in movimento in un arredo muto e immobile nello spazio di un secondo.
Le Olimpiadi, in questo caso, hanno paralizzato alla sedia mio marito senza più possibilità di averlo ancora con me.
Io penso: va beh, non è calcio, non è basket, ma mi dimentico, mi dimentico che è sport e, in quanto tale, possiede quel potere.
Il resto del mondo si ferma, figuriamoci gli esseri femminili che, casualmente, vagano loro intorno.
Stop, non ci siamo più.
Allora?
Approfittiamone per immergerci anche noi in passioni e passatempi, no?
Pur forzandomi, però, non riesco proprio a dedicarmi a qualsiasi altra cosa con la stessa intensità e dedizione.
Forse, perché ho bisogno di più cose insieme e se mi soffermo per troppo tempo su di una sento il resto dell’Universo che mi chiama.
Forse, perché qualsiasi attività alla quale mi dedico si ferma se qualcuno mi cerca.
Forse, perché non riesco a restare inchiodata davanti ad uno schermo se non per un film, ma dura due ore e poi mi sveglio dall’incantesimo.
Per mio marito, il bacio del Principe o della Principessa non sarebbero sufficienti, non se ne accorgerebbe.
L’attrazione per le competizioni sportive, per gli uomini, supera di gran lunga quella per l’altro sesso.
Durante la pubblicità si rifocilla velocemente, senza parlare.
Tra una gara e l’altra va in bagno oppure guarda nel vuoto.
Rimane, per me, un fenomeno incomprensibile che appartiene alla categoria dei misteri.
Non mi resta che accettarlo, mentre lo osservo e scrivo.
Ecco, riusciamo ad interessarci a loro anche quando non c’è nessuna speranza che si ricordino della nostra esistenza.
E se il mistero, a questo punto, fossimo noi?
