Adesso vi parlo dei miei genitori.
Ho la fortuna di averli ancora, entrambi, e se mentre scrivo “entrambi” sento felicità mentre scrivo “averli” capisco che li avrei comunque, anche se non fossero in vita.
Ma che ci siano ancora, qui, fisicamente, vicino a me, conta.
Conta che li possa vedere, ascoltare, guardare, andare a trovare.
Conta che mi facciano domande, che mi ascoltino.
Conta sentire la loro voce, conta osservare il loro volto vivo.
E tutto questo tempo regalato me lo sto proprio godendo.
Alberto Moravia diceva: “La vecchiaia è una malattia, e io non ce l’ho”.
Ecco, da quando i miei genitori sono vecchi nel senso di malati, e io mi occupo di loro, vivo una stagione di tenerezza che mai avrei potuto pensare di vivere con loro.
Sono stati i genitori della mia infanzia, poi della mia adolescenza, poi della mia giovinezza.
Ora sono i genitori della mia età adulta e non l’avevo immaginato.
Sono grande, ora, più di loro.
Sono un riferimento, un punto stabile, un aiuto, un sostegno, come lo sono stati loro con me.
Forse di più, anzi, certamente di più.
Ma non è essere i loro genitori, è proprio essere adulti per loro. Mi seguono, mi fanno le domande importanti, mi confidano le paure o le richieste più urgenti.
Quando arrivo, la loro faccia si trasforma in faccia di gioia. Si accendono.
Tutti i giorni vado a trovarli, così mi riconoscono senza fatica, così la frequenza diventa intensità, così diventa trama, diventa vita collegata.
E’ una quotidianità che avevo smesso di vivere, dopo che non si è più abitato insieme.
Per più vent’anni siamo stati vicini, ma non attaccati, e, ora, siamo di nuovo insieme.
Alberta: vivace, allegra, scorbutica, aggressiva, intensa, simpatica, ansiosa, originale, sopra-le-righe.
Francesco Giobbe: tranquillo, dolce, serio, severo, lento, giocoso, curioso, rigido, buono.
Due vite che si sono incrociate e unite, dalle quali vengo io.
Mistero incredibile della natura.
Legàmi.
Famiglia.
Amore.
Anzi, come si scrive oggi #legàmi, #famiglia, #amore.
E cura.
Siamo la prima generazione che deve curare così i propri genitori, loro non l’hanno fatto con i propri, e questa cosa nuova è tutta da inventare.
Si vive di più grazie ai medicinali, ora occorre costruire un modo di vivere dignitoso e felice anche da tenuti in vita.
E non è, per forza, parlando come prima, camminando come prima, facendo le cose di prima.
È proprio da inventare, per potere familiarizzare con gli stati nuovi.
Alcune cose che si facevano, alcune vecchie passioni possono essere recuperate, altre no.
Ciò che era un mestiere non è detto che si desideri, da anziani, come occupazione.
Ciò che era un piacere non è detto che si abbia ancora voglia di farlo.
Ma, certamente, ricordare e raccontare, anche se non si fa più, dà piacere e non solo a chi siamo certi che comprenda ciò che diciamo.
Vale la pena ricordare e raccontare sempre.
Per fare ciò, occorre raccogliere i racconti ed ascoltare tutte le volte che si può, anche prima.
Fatelo, così da immagazzinare cose che tirerete fuori quando vi sarà utile.
O raccogliete i pezzi che potete raccogliere, così da usarli quando sarà il tempo.
Racconti, aneddoti, fotografie, libri, riviste, giochi, oggetti, manifesti, quadri.
Tutto ciò che può servire a portare a loro il mondo che non possono più fisicamente attraversare.
Con i miei, è tutto un divertimento e una scoperta.
A patto che si sia aiutati, sempre, affinché, come figli, si possa restare leggeri.