Nel mondo romano con il termine parente si indicavano i genitori, coloro che partoriscono, che generano, mentre il legame di parentela più generale veniva definito con il termine propinquiorum, che significa “coloro che sono vicini”.
Con il termine parente si intende anche “chi ha grande affinità e somiglianza”.
Essere parenti significa, quindi, in generale, essere legati dal sangue, ma anche da una storia che unisce in un’unica cornice, che mette nella condizione di appartenere alla stessa trama, alla stessa narrazione.
Che rende uguali e, a volte, identici, cioè “con la stessa identità”.
Essere parenti comporta l’essere coinvolti profondamente da intrecci che sfuggono alla coscienza e che affondano nel sotterraneo mondo degli affetti, dei vissuti e di ciò che misteriosamente custodiamo dietro e sotto le apparenze.
Nella pancia, per intenderci.
Le relazioni genitore-figlio, fratello-sorella, nipote-nonno sono, quindi, relazioni forti, intense, direi enormi.
Nel bene e nel male.
Quando vi è gioia, è gioia immensa, quando vi è conflitto è conflitto tremendo.
All’interno della famiglia, luogo in cui vivono i parenti, si giocano le più forti alleanze e le più nere tragedie.
Dei e dai parenti si ha bisogno, ma, a volte, anche necessità di fuggire.
Per questo motivo è salutare e salvifico il contesto sociale, dentro il quale le famiglie si scambiano doni, prodotti, favori e promesse. Dentro il quale i diversi parenti si mescolano ad altri, per generare e garantire la salute della specie.
È dai parenti che le giovani donne e i giovani uomini si staccano per diventare grandi ed è dai parenti che si ritorna per chiedere aiuto.
Dai parenti in linea retta non ci si può separare.
I coniugi non sono parenti e, di conseguenza, possono diventare ex coniugi, tutti gli altri no.
Non si può essere ex genitori, ex fratelli, ex zii, ex nipoti, ex figli.
I parenti rimangono parenti per sempre, anche oltre la morte e anche in caso di allontanamento.
All’interno di queste relazioni, allora, ciò che accade assume, di volta in volta, significati che possono andare oltre l’analisi oggettiva delle cose, oltre le cose.
Ciò che succede all’interno di questo tipo di relazione prevede un’implicazione ad altissima intensità, perché, come dicono i tecnici, si è “calati nei medesimi contesti di vita e convivenza”.
Per questo motivo, tutti coloro che prendono in carico, per educare, per assistere o per aiutare il parente di qualcuno, devono prendere in carico anche quel qualcuno lì.
Chi accoglie un bambino in una scuola accoglie anche i genitori di quel bambino.
Chi custodisce e cura un anziano in una Casa di Riposo deve custodire e curare anche i figli di quell’anziano.
Chi assiste un disabile, è chiamato ad assistere anche il parente di quel disabile.
Fare altrimenti significa non aiutare, non custodire e non curare la persona che hai in carico.
La persona è il sistema di relazioni in cui vive, fisicamente o emotivamente.
Farsi carico di tutto il sistema è aiutare la persona.
I miei genitori sono in Casa di Riposo da tre anni e mezzo e, per noi parenti, da tre anni e mezzo la Casa di Riposo è la Casa dei nostri genitori.
Cosa fa la Casa di Riposo per essere la LORO casa e, anche, la NOSTRA casa?
Ogni giorno, decine di azioni sono rivolte a loro e, a seconda di chi le esegue, possono essere finalizzate a farli sentire a casa o no.
Sono tutte azioni di assistenza e di cura, ma a seconda di come le eseguono possono fare sentire ai miei genitori che chi le esegue è un parente oppure che è uno sconosciuto.
Ci sono operatori splendidi, operatori mediocri e operatori sbagliati.
Ma questo è il destino della vita, no?
Ciò che potrebbe fare la differenza è la REGIA della Casa, è la DIREZIONE.
Chi dirige, chi conduce, può decidere se fare andare le cose in un verso o in un altro.
Può decidere se investire perché la Casa sia una casa, o no.
Poco si sta facendo in questo senso.
Poco, sia per gli anziani, sia per le famiglie degli anziani che, da parenti, hanno bisogno di sentire di essere accolti quanto loro.
I legami indissolubili che esistono non possono essere spezzati o feriti dalla separazione che, per forza di cose, avviene.
Io auspico che nei prossimi dieci anni si studi e si approfondisca con serietà e amore COSA fare e COME fare a curare e ad assistere le migliaia di anziani non autosufficienti che saremo.
Loro e le loro famiglie.
Me lo auspico perché, secondo le scelte che faremo, in quella direzione andrà il mondo.
E oggi, in QUELLA direzione, non abbiamo ancora deciso di andare.