Materassino

E tu digli che ci vai lo stesso

Sono in spiaggia, finalmente in spiaggia.
Non in ufficio, in un colloquio, in una scuola, a cantare con gli anziani, a far ballare le maestre; sono in spiaggia, finalmente in spiaggia.
La mia testa, libera dal lavoro, alterna pensieri spazzatura, che mi partono incontrollati ogni volta che freno e mi fermo, a idee nuove.
Quando le vacanze durano un po’ le idee nuove fioriscono e generano giardini. Se i giorni sono cinque, come questa volta, percepisco solo piccoli lampi di luce che schiariscono il buio del tunnel quotidiano, e li conservo, preziosi.
Come piccoli semi che porto a casa per coltivarli in serra.
Esco dall’acqua, dalla magnifica acqua di mare maremmano, limpida e fresca. Esco dall’acqua e mi imbatto in una bambina che grida ad un coetaneo: “Giovanni, per favore, posso venire sul materassino con te?”.
Io sono esattamente in mezzo, tra i due, ma anche se fossi stata a cento metri avrei colto la frase perché la mia curiosità per la comunicazione umana è diventata mostruosa.
Giovanni, il coetaneo, risponde di no. Un no secco, spietato, sordo. Senza spiegazioni, ne incertezze.
È un no che arriva a me, in linea d’aria, prima ancora che alla bambina, è un no che mi colpisce, a tal punto da girarmi e farmi intervenire.
Le dico: “E tu digli che ci vai lo stesso”.
Capisco subito che ciò che ho fatto potrebbe essere un disastro pedagogico o una preziosa sollecitazione biografica generativa, ma la frittata è fatta. È vita, non teoria.
La bambina mi guarda, spiazzata.
Io continuo la salita verso la sabbia, spiazzata a mia volta da me stessa medesima e sto attentissima a non voltarmi più.
Con la coda dell’occhio, però, controllo ciò che accade dietro di me, come in un giallo.
La bambina, dopo qualche attimo, a passi rallentati dall’acqua e dallo spaesamento, raggiunge l’amico.
Li perdo, non voglio voltarmi, non so cosa sta accadendo. Si spegne la luce.
Raggiungo l’asciugamano, mi sdraio e, a quel punto, guardo e, come nel finale del film che si riaccende, vedo il fotogramma che conclude la trama.
La bambina è sola, sdraiata sul materassino, e lentamente, pagaiando con le braccia, va verso il largo.
Non c’è la musica e, così, non so se il the end è felice o disperato, ma propendo per la prima ipotesi.
Molto probabilmente ci sarebbe arrivata da sola, un po’ mi rincuoro e non mi importa avere avuto anche un minimo di merito. Sono contenta, forse non ho fatto un guaio.
Ciò che avverrà, questo però lo so, è che il mio intervento, almeno per me, è destinato a restare.
Come una alternativa, come un’altra possibilità, come una terza via che ci si può parare davanti se scartiamo il pallone mentre ce lo stanno portando via.
“Magari non con te, ma con il materassino sì, anche perché era quello che desideravo”.
È una consapevolezza che si raggiunge a cinquant’anni, ma io auguro a tutte le femmine di comprenderlo molto, molto tempo prima.
Per evitare che i sensi di colpa e le rinunce ti impediscano di salpare e di navigare.
Per tracciare la tua rotta, per cercare il tuo nuovo mondo.
Ma, soprattutto, per non restare a riva mentre il tuo principe azzurro sparisce all’orizzonte.

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