scuola vuota

La didattica a distanza, la relazione vicina

Parliamone.
Non è, in questo momento, l’argomento principale delle comunicazioni ufficiali e delle riflessioni condivise e allargate, ma parliamone.
Nelle prime fasi di questa emergenza, confuse e agitate, tutte le scuole si sono attivate per continuare a fare scuola a distanza cercando velocemente e prima di tutto di colmare le lacune nelle competenze tecnologiche.
L’indicazione era, per tutti, quella di “continuare il percorso in atto”, di non interromperlo.
È fuori di dubbio che questo organizzare a distanza l’attività scolastica quotidiana ha aiutato tutti, alunni, insegnanti e familiari, a non perdere il senno, a mantenersi in piedi e ad arginare l’emergere dell’angoscia, ma, a poco a poco, è emerso un altro bisogno di competenze necessarie per vivere questo momento particolare.
Molti alunni hanno iniziato, dopo le prime settimane, ad accusare i primi colpi, esprimendo la tendenza a ritrarsi dai compiti e dalle richieste e questo ci sta costringendo a riflettere su come ci stiamo muovendo a livello didattico, educativo e pedagogico.
Moltissimi operatori hanno già individuato e messo a punto modalità differenti e funzionali, mentre altri sono in difficoltà.
Ciò che sta accadendo sta, paradossalmente, facendo emergere le buone pratiche già esistenti (e già funzionanti) e quelle disfunzionali che, però, appunto, non funzionavano nemmeno prima.
Come si fa ad essere interessanti stimolando la partecipazione ora che si è distanti?
Come si può aiutare il mantenimento dell’attenzione quando chi partecipa è a casa?
Come si fa ad insegnare il metodo di studio e ad organizzare il lavoro in questo strano momento?
Come si doveva fare prima.
Utilizzando tecniche animative e comunicative che aiutano a costruire una relazione diretta e intensa tra chi conduce e chi partecipa.
Studiando con attenzione i tempi della nostra comunicazione, le modalità, le caratteristiche.
Organizzando calendari delle lezioni condivisi e coordinati.
Comunicando anticipatamente i contenuti per aiutare ad organizzarsi.
Attivando uno scambio e un confronto continuo tra operatori.
Raccogliendo feedback di chi frequenta le lezioni e sviluppando un monitoraggio continuo della qualità (e non solo della quantità) della partecipazione.
Utilizzando tecniche di comunicazione verbale e non verbale per parlare con chiarezza.
Proponendo slides e mappe che aiutino a visualizzare i concetti come si fa nelle conferenze davanti ad una grande platea.
Facendo lavorare in piccoli gruppi.
Lasciando spazio per l’elaborazione personale.
Parlando con animazione, usando la voce per veicolare emozioni e sentimenti, rendendo vivace (proprio nel senso di vivo) il proprio parlare, il proprio mostrare i contenuti.
Facendo cose che non sono necessarie solo adesso, che sono indispensabili sempre.
Usiamo questo momento, allora, per cambiare e per migliorare.
Facciamo in modo che le persone che sono più preparate in questa emergenza possano condividere con altri ciò che stanno facendo per produrre nuove pratiche e nuovi pensieri.
Scambiamoci vissuti e riflessioni su quanto stiamo vivendo.
Non concentrandoci su quanto fare, ma sul come farlo e mettendo in condivisione, appunto, le idee nuove e speciali che stanno emergendo.
Detto questo, io penso che la priorità, oggi, sia veramente quella di stare accanto, di fare sentire che si è vicini (anche alle famiglie!) e di mantenere (o di costruire) l’affetto reciproco.
È fare scuola fare questo?
Sì.
Ma non solo durante la reclusione e la restrizione di oggi, sempre.
Proviamo a rifletterci, questa è una grande occasione.

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