BadTeacher

Bad Teacher

Il film americano del 2011, dal titolo “Bad Teacher” (Una cattiva maestra), con Cameron Diaz e Justin Timberlake, è uno degli esempi di rappresentazione artistica più adeguati a indicare le diversità culturali tra gli Stati Uniti d’America e l’Italia.
La pellicola tratta di un’insegnante di Scuola Media (Secondaria di Primo Grado non si può sentire) il cui personaggio è disegnato nei minimi particolari perché sia il massimo esempio di negatività che un riferimento educativo possa essere.
Si droga, beve, mente, imbroglia, corrompe, dorme in classe, mortifica gli studenti, si prostituisce e antepone i personali interessi a quelli dei suoi allievi.
Se si aggiunge che i personali interessi corrispondono a rifarsi il seno per conquistare, senza amore, un ricco collega, il quadro è completo.
L’esagerazione del dipinto, comprese le battute e le scene esplicite a sfondo sessuale, volgerebbe a fare ridere, ma non si ride.
È questo il punto: tutto ciò che è pensato per essere comico, a noi risulta grottesco e fuori luogo.
Non solo perché tocca il tabù dell’educazione dei più piccoli (coinvolti scenograficamente e realmente in questo volgare racconto), anche perché infrange, e senza appelli, una dopo l’altra, tutte le regole della buona vita (tranne che nel finale in cui, miracolosamente, per potere chiudere, Cameron Diaz ritorna ad essere normale).
Ciò che dovrebbe divertire, invece, urta e infastidisce.
Tra noi e loro, in sostanza, di diverso, c’è la sensibilità.
La sensibilità, da vocabolario, è la “particolare attitudine a risentire gli effetti, anche più insignificanti, di una condizione affettiva o emotiva”, oppure, ancora, è “l’intensità e l’acutezza con cui un soggetto intuisce col pensiero qualcosa di esterno da lui” o, anche, è “la disposizione di condividere un’emozione provata da soggetti altri da sé”.
La sensibilità, in altre parole, è la maturità.
Cognitiva ed emotiva.
E non la si acquisisce studiando, s’impara attraverso l’esempio, l’esperienza e la riflessione.
Ed è proprio in questo che siamo diversi.
Secoli e secoli di esperienza personale, sociale, artistica e, non da ultimo, politica, ci rendono maggiormente sensibili e, quindi, più difficili da accontentare. Più capaci di sentire cosa c’è dietro alle cose.
Ovviamente, la tendenza alla superficialità o all’approfondimento, esistono da loro come da noi e appartengono anche alla condizione personale, non si può generalizzare, ma, nel cinema ci sono, come in questo caso, esempi chiari in cui non-ridere-per-le-stesse- cose rende l’idea.
Il tipo di comicità dipende dallo sfondo culturale nelle quali le figure individuali vivono e rendersi conto degli sfondi può aiutarci a comprendere meglio noi stessi e gli altri.
In quanto, ognuno, piccolo elemento di un sistema complesso.
E aiutandoci a spostare l’accento da quanto-siamo-diversi a in-cosa-siamo- diversi, ci permetterebbe anche di sentirci un po’ meno protagonisti e un po’ di più parte di un universo più grande di noi.

Per potere poi, perché no, riderci sopra insieme.

Condividi:
FacebookTwitterGoogle+

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *